La dieta senza glutine tra necessità, moda e business?

C’era una volta il biologico, poi venne il naturale e quindi il vegano. Ora è di moda il senza glutine. Un mercato, quello del «free from», in ascesa negli ultimi anni: grazie anche alla spinta di alcune celebrità che, pur non essendo celiache, portano in tavola prodotti senza glutine perché convinte di guadagnare così in salute e restare in forma più facilmente. Un equivoco, come dimostrano i dati scientifici più recenti, che sta contribuendo a far dilagare la dieta senza glutine.

Sono 6 milioni gli italiani che si considerano affetti da tale patologia seguendo, in realtà, dei falsi miti e sprecando ogni anno 105 milioni di euro per l’acquisto di cibi senza glutine a loro non necessari. L’allerta arriva dagli esperti dalla terza edizione della settimana nazionale della celiachia (13-21 maggio 2017), ideata proprio per sensibilizzare e far conoscere i veri rischi di questa malattia. Ogni anno, nel nostro Paese, si spendono 320 milioni di euro per prodotti senza glutine, ma di questi solo 215 derivano dagli alimenti erogati per la terapia dei pazienti celiaci.

Oggi milioni di persone scelgono di eliminare il glutine dalla propria dieta per seguire la moda del momento ma nessuna ricerca ha finora dimostrato qualsivoglia effetto benefico per i non celiaci nell’alimentarsi senza glutine. Gli studi scientifici stanno ampiamente dimostrando che, per tutta la popolazione, l’esclusione del glutine è inutile. Nei non celiaci l’esclusione del glutine non riduce il rischio cardiovascolare, come alcuni sostenevano ritenendo che incrementasse il livello generale di infiammazione. Anzi, l’alimentazione gluten-free nei non celiaci si associa a una riduzione del consumo di cereali integrali, con possibili effetti negativi proprio sul rischio cardiovascolare.

La dieta senza glutine è invece essenziale per i pazienti celiaci: in Italia si stimano circa 600.000 casi, pari all’1% della popolazione. Ma i diagnosticati ad oggi sono appena 190000. 7 celiaci su 10 non sanno di avere questo problema. La celiachia infatti è una malattia irreversibile e chi ne soffre deve nutrirsi senza glutine per tutta la vita, in ogni circostanza. Ecco spiegato perché il Servizio Sanitario Nazionale eroga ai pazienti celiaci i prodotti dietetici senza glutine fino a un tetto massimo di spesa pari, in media, a 90 euro al mese per paziente. La dieta del celiaco può e deve essere il più possibile varia, includendo soprattutto alimenti naturalmente privi di glutine quali mais, riso, grano saraceno, miglio, quinoa, amaranto ed altri cereali minori, oltre a verdura, frutta, legumi, latte e derivati, uova, carne e pesce.

La dieta senza glutine non dà nessun beneficio in termini di salute del cuore se a seguirla è una persona che non soffre di celiachia, anzi in questo caso potrebbe essere dannosa. Lo afferma uno studio eseguito su 110mila soggetti della Columbia University e pubblicato dal British Medical Journal che ha seguito oltre 110.000 soggetti per 26 anni; ha evidenziato che nei non celiaci l’esclusione dei glutine non riduce il rischio cardiovascolare.

I cibi senza glutine non sono sempre salutari, soprattutto quelli per bambini. Nei prodotti gluten-free sono presenti troppe calorie e grassi, poche proteine e zuccheri. Possono concorre a sbilanciare la dieta, le confezioni ingannano e i ragazzini celiaci rischiano il sovrappeso.  In particolare, i diversi tipi di pane senza glutine hanno un livello maggiore di grassi e acidi grassi saturi, le paste un minore contenuto di proteine e zuccheri e i biscotti un ridotto contenuto di proteine e lipidi in eccesso. Il pane, la pasta e le farine con il glutine, invece, hanno un contenuto 3 volte maggiore di proteine rispetto ai loro sostituti gluten-free.

A questo punto, per rendere più appetibili gli alimenti gluten-free le industrie impiegano una quota più elevata di grassi, in particolare nei prodotti come biscotti e merendine. E’ bene quindi che tali prodotti vengano riformulati ma nel frattempo il consiglio ai genitori di bambini con celiachia è di cucinare il più possibile a casa i cibi gluten-free, usando solo ingredienti sani e privi di glutine, senza grassi e additivi. Le ricette sono davvero molte e si trovano anche nel web. Si possono fare la pasta fresca, i biscotti, i dolci farciti con l’uso di creme fatte con la fecola di patate o maizena. Ci sono molti ingredienti alternativi, come l’amido di mais e la fecola di patate, privi di glutine e senza grassi in eccesso.

La “moda celiachia” è stata probabilmente innescata (tra le varie cause), anche dalle aziende della filiera alimentare che hanno cominciato a immettere sul mercato un grande quantitativo di prodotti gluten-free fino al punto di invogliare ii consumatori. Insomma la mania ‘gluten-free style’ senza celiachia non è salutare: causa danni e fa ingrassare.

“C’è luogo tra la fantasia e la realtà, un luogo dove non ci sono limiti, né assoluti né relativi”.
(E. L. James)

Un’alimentazione senza glutine non aiuta a mantenere la linea, non migliora la funzionalità dell’intestino, non disintossica e non migliora l’aspetto della pelle. Se non ci sono reali problemi di salute, come la celiachia, ridurre o addirittura eliminare, il glutine dalla propria dieta può condurre a un regime dietetico molto restrittivo, in alcuni casi sbilanciato perché quasi del tutto privo di carboidrati, la nostra fonte principale di energia. Inoltre, eliminare il glutine dalla dieta in maniera arbitraria non rende possibile, nel medio-lungo periodo, la diagnosi medica di malattia celiaca che risulta essere ultimamente piuttosto frequente: 1 caso ogni 80-100 individui.

Esiste poi la NCGS (acronimo dell’inglese Non-celiac gluten sensitivity), un disturbo completamente diverso dalla celiachia e la quasi totalità delle persone che ne soffrono non diventerà mai celiaca; si comincia quindi a fare finalmente chiarezza sui motivi per cui alcuni soggetti, negativi al test per il morbo celiaco, traggono comunque beneficio da una dieta priva o povera di glutine. Si stima che, se il numero di celiaci in Italia è di circa 600.000 unità, i pazienti con sensibilità diretta al glutine possano essere almeno tre milioni.

Sembra che la sensibilità diretta al glutine sia quindi una sorta di disturbo che, potenzialmente, è in grado di colpire 1 paziente su 20. La sensibilità correlata al glutine implica dei sintomi molto simili a quelli che si palesano nella celiachia e nell’allergia al grano, rendendo quindi necessario, per la sua diagnosi, l’esclusione di queste patologie.

L’ingestione di glutine fa si che le difese immunitarie reagiscano nei suoi confronti, contrastandolo e provocando di conseguenza un processo infiammatorio che interessa l’apparato digerente e altre zone dell’organismo. Tutto ciò può provocare: dolore addominale, gonfiore, stanchezza, diarrea. Può essere comunque un problema transitorio, destinato a risolversi spontaneamente, seguendo una dieta priva di glutine. Il limite nella identificazione reale di questa condizione è correlato al possibile “overlap diagnostico” con condizioni cliniche quali la celiachia, le allergie alimentari, la sindrome del colon irritabile e/o sindromi psicosomatiche.

È pertanto necessario provvedere ad una diagnosi completa del disturbo, eseguendo degli esami specifici, costituiti da Prick-test, Rast-test o altro per escludere allergie o intolleranze (ad esempio al lattosio). Per tutti questi buoni motivi, attenzione a non eliminare, senza controllo medico, pane e pasta dall’alimentazione di tutti i giorni. Alcuni ricercatori hanno messo in dubbio la  NCGS, attribuendo gran parte dei sintomi presenti in questi pazienti al ruolo dei FODMAPs (fermentable oligo- di- e monosaccharides and polyols) contenuti nella dieta. Si tratta di carboidrati a corta catena poco assorbibili che causano distensione del lume intestinale: le fonti più comuni sono il grano ed i cereali (ricchi di fruttani), il latte, i legumi, il miele, la frutta (ciliegia, melone, mango, pera) e ortaggi (cicoria, barbabietola, finocchi, porri). In questa coorte di pazienti, il ruolo dei FODMAPs è stato dimostrato attraverso un challenge in doppio cieco e dopo avere escluso qualunque forma di allergia IgE-mediata.

Infine, non sembra secondario nella patogenesi di questa sindrome il ruolo di alcuni additivi alimentari come glutammato, benzoato, solfiti e nitrati che vengono aggiunti a molti prodotti commerciali per varie ragioni (per esaltare il gusto, colore e come conservanti). La NCGS non correla con l’aplotipo HLA-DQ2 e DQ8 della celiachia, sebbene questo tipo di HLA sia presente nel 46% dei soggetti. Questa percentuale è tuttavia comparabile a quella della popolazione generale (30%), ma di gran lunga inferiore ai soggetti celiaci (99% dei casi).

In conclusione, il clinico deve avere la capacità di guidare il paziente attraverso un adeguato approccio diagnostico considerando la variabilità di una sintomatologia clinica spesso di difficile definizione sul piano oggettivo. La pratica del “senza glutine” non deve essere implementata in assenza di oggettive valutazioni sul piano diagnostico.

A cura di:

Giorgio Pitzalis

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