Ma una tv piena di Chef, ci aiuta a mangiare meglio?

Ma una tv piena di Chef, ci aiuta a mangiare meglio?

Siamo ossessionati dal cibo? Decine di trasmissioni tv, libri, blog e film dedicati alla gastronomia direbbero di sì. Ma, forse abbiamo semplicemente scoperto che il fai-da-te in cucina fa risparmiare, divertire e può anche migliorare il rapporto con la nostra salute. L’importante è sapere cosa e quanto mangiare per una corretta alimentazione.

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La cucina è il centro della casa intesa come focolare domestico, è legata alla famiglia e agli affetti, è il luogo in cui si preparano i cibi, in cui ci si ritrova per mangiare e simbolicamente si rielaborano le esperienze. Un tempo la cucina era il “regno” della donna, identificata nel suo ruolo di madre nutrice, dedita completamente al nucleo familiare (figli, genitori, marito). Ma ora tutto è cambiato. E allora? Dove sta andando la cucina italiana? La nostra società sta vivendo in questi anni profonde evoluzioni comportamentali. I ritmi della nostra esistenza stanno rapidamente modificandosi, con cadenze di accelerazione mai tanto radicali e violente.

Vanno mutando regole e consuetudini secolari, con impressionanti riflessi anche sui contenuti, sui modi di vivere il cibo, sul mangiare, perfino sui gesti e sul lessico alimentare. Diverse indagini di mercato mostrano come si riduce sempre di più il tempo passato davanti ai fornelli.  1/3 degli italiani intervistati dichiara che il tempo dedicato alla cucina non supera le 5 ore settimanali, cioè meno di 40 minuti al giorno, 1/3 vi riserva fra le 6 e le 10 ore, il 16% precisa di non cucinare mai. È da sottolineare che, ormai, quasi la metà dei residenti nei grandi centri urbani pranzano fuori casa (mense, bar, ufficio, ecc.).

Questo stato di cose si ripercuote evidentemente sulla tipologia dei piatti approntati, sulle pratiche di preparazione consolidate da tempo, sull’impiego delle materie prime, sui momenti di consumo, sulla scelta e rappresentatività delle ricette, sulle differenziazioni dei sapori sempre più omologati, impoverendo in tal modo il tradizionale “tessuto” culinario delle regioni italiane. Finiamo così per allontanarci da piatti che hanno da sempre contraddistinto la buona e “onesta” cucina locale e familiare. Rischiano di scomparire alcuni piatti-simbolo, quelli che risultano laboriosi, che richiedono lunghe e lente cotture o sono legate ad ingredienti di difficile reperibilità. Si rischia di disperdere in tal modo un patrimonio della nostra cultura e della nostra civiltà, se è vero che la tavola fa parte delle radici, e quindi dell’identità di una società e dei suoi valori. Diceva l’antropologo francese Lévi-Strauss che “La cucina di una società è il linguaggio nel quale essa traduce (nei suoi piatti) inconsciamente la propria struttura”. D’altra parte, la crisi della “vera” cucina crea, per nostra fortuna, i suoi anticorpi. Non è un caso che, mai come oggi, la cucina sia tornata di moda. Se ne parla, se ne dibatte, la si propone sui media, nei salotti, nella politica, nella ristorazione, nei social.

Oltre la metà degli italiani “guarda programmi televisivi sulla cucina almeno una volta la settimana e il 14% lo fa “tutti i giorni”. Il 28% legge riviste di enogastronomia e il 34% acquista libri sull’argomento. Non solo: il 57% degli intervistati affermano di partecipare a eventi, sagre, feste dove vengono presentati prodotti tipici alimentari. Nell’indicato contesto di cambiamento, dove la tavola sembra perdere molto delle sue valenze, torna prepotente il piacere, l’attesa, il “sogno” di avvicinarsi appena è possibile ai sapori, al gusto, ai prodotti della buona tavola e in particolare di non distaccarsi troppo dalla cucina della tradizione e della memoria. Oggi la pratica e la cultura culinaria “trasmigra sempre più dai fornelli di casa alla cucina del ristorante”. Ecco dunque che la ristorazione acquisisce un ruolo determinante nel dare riscontro alle attese del consumatore in direzione della salvaguardia del nostro patrimonio gastronomico.

Il ruolo del cuoco, sotto questo profilo, si carica di contenuti e di responsabilità, un credibile mèntore, un depositario della tradizione culinaria. Diventa un personaggio di richiamo e la sua “esperienza” si espande attraverso i media, diventa voce autorevole, fa scuola. Ragione in più perché chi si trova impegnato nel mestiere di cuoco si formi alla cultura del territorio, alla coscienziosa preparazione delle ricette, al piacere di “donare”. “La buona cucina è un fatto morale”, affermava lo scrittore polacco Joseph Conrad nella prefazione al libro di ricette pubblicato nel 1923 da sua moglie Jessie George. Anche nel nostro tempo, vorticoso e distratto, è rimasta la consuetudine, fra i componenti di una famiglia, di riunirsi intorno alla tavola. E il modo in cui avviene è caratteristico di quella famiglia. Non solo, anche i gruppi sociali e di lavoro sono consapevoli che la tavola può essere un momento importante di socializzazione.

Pensiamo poi ai bambini; capita che all’ora di pranzo siano soli per problemi di lavoro e/o di orari differenti da quelli dei propri genitori, e per questo mangiano un panino, davanti alla TV, o ai ragazzi che velocemente consumano cibo spazzatura in qualche fast-food. Alimentarsi è comunque un processo elementare e complesso al tempo stesso e l’alimentazione non è solo soddisfazione dei bisogni primari di nutrizione, ma anche ricerca e soddisfazione del piacere, dal momento che il cibo è veicolo di relazioni primarie. E il nostro primo oggetto di amore è la mamma, attraverso l’allattamento al seno, relazione che si carica di emozioni e conflitti. Un’alimentazione regolare o irregolare è un segnale di relazioni orientate fra l’agio di un rapporto sereno e il disagio di un conflitto; tutto ciò comincia molto precocemente, all’epoca dell’allattamento, e procede per tutta la nostra esistenza e diviene fondamentale nel periodo della crescita.

I programmi televisivi di ricette impazzano sui canali televisivi non solo in Italia, tanto che si ha quasi la sensazione di essere arrivati a una vera saturazione. Ma fino a che punto questi programmi sono anche veicoli di corrette informazioni nutrizionali? La domanda non è oziosa, dal momento che diversi studi hanno dimostrato che i cuochi in televisione influenzano il comportamento alimentare di una parte della popolazione e hanno quindi un ruolo nelle scelte e nella dieta delle persone. Per capire quanto i piatti preparati in tv siano aderenti alle linee guida degli esperti e, soprattutto, a quelle dell’Organizzazione Mondiale della sanità e della UK Food Standards Agency (FSA), un gruppo di ricercatori della NHS Tees and Newcastle University ha analizzato il contenuto calorico e la composizione di 100 ricette, proposte da cinque famosissimi cuochi televisivi, molto popolari in Gran Bretagna. Oltre a ciò il gruppo ha esaminato 100 confezioni di cibi pronti venduti dalle tre principali catene di supermercati inglesi, riscontrando un risultato abbastanza desolante, come scrive il British Medical Journal. In generale, i pasti preconfezionati venduti nei supermercati battono in qualità quelle dei cuochi, e in ogni caso permettono di capire cosa si sta per mangiare attraverso la lettura delle etichette nutrizionali. Considerando i dettami dell’OMS, il 18% dei cibi pronti rispetta i quantitativi consigliati di carboidrati, contro il 6% di quelli proposti in televisione; lo stesso vale per gli zuccheri semplici, dove le percentuali sono simili  (rispettivamente 83 e 81%), mentre  per  quanto riguarda le fibre la  grande distribuzione batte la TV 56 a 14 %.

Le ricette del piccolo schermo vincono solo per quanto riguarda il contenuto di sale, che nel 36% dei casi rispettano le indicazioni, contro il 4% degli alimenti precucinati (il dato potrebbe essere falsato perché non è stata quantificata la concentrazione di sale nei condimenti). L’ultimo aspetto da considerare riguarda le calorie, le preparazioni televisive hanno un quantitativo più che doppio (604 kcal rispetto alle 293 dei pasti precucinati), più proteine (37,5 g contro i 27,9 g in media a porzione), più grassi in generale (27,1 g contro 17,2 g); più grassi saturi (9,2 contro 6,8) e meno fibre (3,3 grammi contro i 6,5 dei pasti pronti). Nessuna delle due categorie, comunque, appare soddisfacente. E’ ovvio che è comunque consigliabile sapere quanto e cosa mangiare, scegliendo metodi di cottura non elaborati e scelti tra alimenti di stagione. Insomma, attorno al cibo è esplosa una quantità di attenzioni che non hanno precedenti come fenomeno di massa. Oggi, la maggiore accessibilità del cibo e l’allargamento sociale della possibilità di scegliere, fa sì che di cibo parlino tutti. Con molti equivoci, con molti fraintendimenti. Un processo di democratizzazione ha allargato il pubblico potenziale.

Per dare corpo al significato della parola “democratizzazione” bisogna considerare non solo la TV, ma anche i centinaia di siti web e blog di cucina, in cui migliaia di persone scrivono ogni giorno ricette, recensioni, sperimentazioni culinarie. Circa 500.000 italiani hanno dichiarato di partecipare regolarmente a community sul web centrate sul cibo. Poi ci sono i libri di cucina che spesso sono tra i titoli più venduti e per parecchie settimane. E i consumi? Seguono la tendenza. Secondo la Coldiretti, a fronte di un taglio della spesa per 1,1 miliardi di euro dei prodotti confezionati, si registra un boom negli acquisti degli ingredienti base come farina, uova, zucchero e burro come mai registrato dal dopoguerra: l’aumento è dell’8% per la farina, del 6% per le uova e del 4% per il burro, contro un calo dell’1,5% degli alimentari registrato nella grande distribuzione. Il ricorso al fai da è certamente il frutto dell’esigenza di risparmiare per la riduzione del potere di acquisto ma anche della ricerca di una migliore qualità dell’alimentazione. Preparare in casa il pane, la pasta, le conserve, lo yogurt o le confetture ed i dolci, oltre a risparmiare garantisce la qualità degli ingredienti utilizzati.

Secondo un’indagine Coldiretti/Swg un italiano su tre prepara più spesso rispetto al passato la pizza in casa, il 19% più frequentemente fa addirittura il pane, il 18% marmellate, sottoli o sottaceti, il 13% la pasta e l’11% i dolci.
Insomma, l’italiano medio s’è rimesso ai fornelli, vuoi per la crisi, vuoi per una ritrovata passione per il fai-da-te. E allora si cercano informazioni in rete, ci si scambia la ricetta migliore per la frolla e si recuperano le ricette della tradizione. Si scopre che non c’è niente come impastare, per scaricare le tensioni e rassodare i bicipiti. E il video cavalca la tendenza. Se fino agli anni ’90 il cibo era bandito dagli schermi televisivi, attualmente si assiste ad una TV “bulimica”, con reti monotematiche, cuochi e cibo a qualsiasi ora… Perché accade? È semplice, perché non capiamo più niente di cibo, perché siamo incapaci di cucinare, e così siamo passati dal nulla al troppo senza occuparci della qualità di ciò che ci viene trasmesso.

Ma una tv piena di Chef, ci aiuta a mangiare meglio?

Il cibo è una delle cose più importanti della nostra vita, la nostra stessa identità, eppure quello che passa dalla tv il più delle volte non ci dice nulla, su questo, oppure ci comunica addirittura valori sbagliati, sia per quanto riguarda la nostra salute che per le conseguenze – a livello ambientale, politico ed economico – provocate da ciò che consumiamo. Cerchiamo, ad esempio, di parlare di stagionalità dei prodotti, Invece di vedere, in certi talent show, piatti buttati in terra, se non piacciono al giudice. Il cibo non si può buttare, e farlo in TV è terribilmente diseducativo. Il grande problema è che per molte persone, anche adolescenti, la TV è l’unica fonte di informazione, e questo, unito a tanti altri comportamenti  esagerati, non può portare lontano.

A cura di:

Giorgio Pitzalis

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